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POSSESSION
(POSSESSION)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 giugno 1981
 
di Andrzej Zulawski, con Isabelle Adjani, Sam Neill, Heinz Bennent (Francia, 1981)
 
Fra le diverse recensioni dei film di Andrzej Zulawski, scomparso lo scorso 17 febbraio, abbiamo scelta questa, pubblicata su Azione del 3 giugno 1981:

Cinque film di cui due sequestrati in Polonia (IL DIAVOLO, 1972; IL GLOBO D'ARGENTO, 1976), un grande successo anche popolare (L'IMPORTANT C'EST D'AIMER), Andrzej Zulawski, esattamente come i suoi film, non è un cineasta dalle mezze misure. E il ritardo con il quale questo suo ultimo POSSESSION giunge da noi, malgrado un buon risultato al box office ed un premio a Cannes per l'interpretazione clamorosa di Isabelle Adjani, lo conferma. Il cinema di Zulawski, con la sua violenza espressiva, con la sua costante aggressione al conformismo dello spettatore, disturba. E basterebbe il tema di Possession, anche se i temi, al cinema come altrove non significano granché, a confermare la cosa: in una Berlino-Ovest deserta un giovane marito ritorna a casa. Trova la moglie stranamente assente, e ancor più stranamente felice ed esaltata. Che le cose non vadano per il meglio tra i due lo capiremo in breve, infatti. Ma l'amante non è quello che il marito sospetta: è un mostro (sì, letteralmente: creato dal celebre Carlo Rambaldi), che entrerà nella vita della coppia fino ad assumere le sembianze del marito. Se a questo tipo di tematica aggiungete il fatto che Zulawski ama inondare lo schermo di sangue e umori vari, capirete come il suo cinema, considerato da molti come fra i più originali in circolazione, sia frettolosamente relegato da altri fra gli eccessi del grand-guignol. Poche immagini di Possession dovrebbero però far comprendere a chiunque che la violenza del cinema del regista polacco non ha nulla da spartire con quella di una Cavani o di un Dario Argento. Perché ognuna di queste immagini denuncia l'estremo rigore della messa in scena e il potere di incidere come pochi nella realtà. Lo straordinario impatto della città che fa da sfondo, la cura nella scelta degli ambienti il colore tenuto costantemente sotto controllo, la coerenza nella scelta degli obiettivi (in effetti uno solo, il grandangolo), il significato dei movimenti di macchina indirizzano il mondo poetico di Zulawski verso gli estremi del barocco e del fantastico. Dove si incontrano gli eccessi, le grida e le folgori: ma anche la tenerezza, i silenzi e l'emozione. Gli attori sono incalzati fino allo spasimo da uno stile esasperato: ma i sentimenti sono quelli della tradizione più esemplare. La paternità, L'amore coniugale, L'unità della famiglia. Ecco quindi che quando arriviamo al celebre mostro non solo questo non ci spaventa più di tanto, visto che al regista non interessava questo tipo di reazione. Ma comprendiamo come gli eccessi, le fantasie barocche di Possession ci conducono a qualcosa d'altro. Al desiderio di mostrare, di materializzare, certi nostri incubi. Come dice Zulawski stesso "Anna sceglie una specie di fuga, una fuga nell'impossibile, nel metafisico, nella creazione di un'entità, di una creatura destinata a colmare e a compensare tutti i vuoti della sua esistenza Soltanto alla fine ci si accorge che ciò che ha costruito non è altro che l'uomo con n quale ha vissuto. Una specie di circolo vizioso, che ricalca quello delle nostre ambizioni metafisiche. E poiché la coppia non e necessariamente 'buona', ecco che il risultato della creazione di Anna non è altro che il male assoluto, il riflesso amplificato di quello che il marito ha rappresentato nella propria vita". Difficile da raccontare, segnato da intuizioni geniali (i tocchi di humour nero) come da slanci discutibili (la soluzione Zen introdotta dal personaggio di Bennent e un misticismo un po' di maniera) il cinema di Zulawski tenta di esprimere, e sovente ci riesce, quello che gli altri cineasti si limitano a sognare. In un mondo dove tutto, a cominciare dal sogno cinematografico, è ormai programmato in funzione della pigrizia consumistica degli spettatori, L'universo poetico di questo vísionario talvolta eccessivo esalta e commuove.


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